IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi in appello proposti rispettivamente: I - ric. n. 399 del 1987: da Archetti Rosa in Riva, Albanese Giuseppina, Guizzetti Ermas Giovanna Laura in Maffessanti, Collavini Edda in Franceschini, Perdoncin Costantino, Terreni Giovanna in Azzoni, Pocar Valerio quale procuratore di Andreoletti Annamaria, Bernasconi Mariagrazia in Labrina, Zanchi Alessandra in Albanese, Bordogna Annamaria in Sacchi, Rottigni Carla in Marchesi, Moretti Vanda in Gilberti, Bonifaccio Raffaello, Testa Ambrosina, Bolandrina Cecilia in Poli, Pandini Alessia in Cologni, Zucchelli Giuseppina in Zucchelli, Goffi Fernando, Savoldelli Giancarla in Morstabilini; II - ric. n. 400 del 1987: da Pinacoli Antonio, Caldara Amelia in Bellotti, Carminati Emenegilda, Gritti Antonietta in Rossato, Raunacher Editta in Lugiato, Cacciamali Luigia in Gelmi, Salvi Anna Maria in Beretta, Brunetti Faustina Teresa in Breviario, Lorenzi Mansueto, Leandri Mirella in Lorenzi, Mattioli Lida in Capolino, Pesenti Udilia ved. Rovelli, Jannone Maria Costanza ved. Pagani, Chioffi Amalia in Pizzigalli, Milesi Giuseppina in Marconi, Faccioli Annamaria, Rota Claudia in Borgonzoni, Manella Alberta, Morlotti Maria in Cattaneo, Contardo Olga ved. Gambardella, Floridi Roberta, Rindi Igina Anna Maria, Sirtoli Adriana, Prestini Anna Maria, Martina Angela in Guerini, Chiereghin Fernanda, Induni Maria Teresa in Bertolani, Plebani Elisa in Faga, Gusmini Teresa, Mazzoleni Maria in Fraschini, Raffaelli Pietro, Cologni Francesco, Breno Amerigo, Sonnino Argia ved. Cervo, Licini Elena; III - ric. n. 401 del 1987: da Filippini Zemira Maria, Puerari Caterina in Marciano', Pellegrini Luciana in Ciatto, Noris Chiorda Mario, Capoferri Maria in Pusterla, Confalonieri Emiliana in Barbieri, Curnis Angela in Cantoni, Rocco Amelia in Comolli, Rebuzzini Margherita, Guerini Giovanni, Ghirardi Teresa in Dolci, Cortinovis Adriana, Romei Primo, Salaroli Attilio, Chiesa Francesca in Ravasio, Rovelli Teresa Maria, Marchesi Giuseppina in Ghidelli, Colombo Zeffinetti Vittorina in Goggia, Geti Giuseppina ved. Vendramin Mosca, Mancini Diana ved. Baschenis, Gamba Ermanno; tutti rappresentati e difesi dall'avv. Carlo Rienzi, presso il quale sono elettivamente domiciliati in Roma, viale delle Milizie n. 9, appellanti contro l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza agli impiegati dello Stato (E.N.P.A.S.) in persona del presidente in carica, costituito in giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato presso cui e' per legge domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, appellato resistente per l'annullamento delle sentenza del tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione di Brescia nn. 612, 613 e 614 del 31 dicembre 1985; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Data per letta alla pubblica udienza del 18 novembre 1994 la relazione del Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani e udito, altresi', l'avv. Rienzi per gli appellanti; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO 1. - Con tre separati ricorsi, gli appellanti, tutti dipendenti dello Stato collocati a riposo, avevano adito il tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione di Brescia, per vedersi riconoscere il diritto al computo, ai fini dell'indennita' di buonuscita a carico dell'E.N.P.A.S., oltre che dello stipendio, dell'indennita' integrativa speciale e di ogni altra indennita' avente carattere di continuita', obbligatorieta' e predeterminazione, lamentando la violazione degli artt. 1 e segg. della legge 27 maggio 1959, n. 324, in quanto abrogata dall'art. 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, per incompatibilita' e del citato art. 36 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, e, in subordine, l'illegittimita' costituzionale delle norme che escludono il computo dell'indennita' integrativa speciale ai fini ai dell'indennita' di buonuscita per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto la legge 7 luglio 1980, n. 299, ha previsto il computo di tale indennita' ai fini del premio di fine servizio per i dipendenti degli enti locali, e per contrasto con l'art. 36 della Costituzione in tema di giusta retribuzione. Con le sentenze impugnate questa sede il tribunale respingeva i ricorsi ritenendo fra l'altro manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme preclusive della computabilita' dell'indennita' integrativa speciale ai fini della liquidazione dell'indennita' buonuscita. 2. - Avverso le anzidette sentenze gli interessati hanno proposto autonomi atti di appello notificati il 14 gennaio 1987, con i quali hanno reiterato con ulteriori argomenti la gia' dedotta violazione del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, e, in via subordinata, la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, lett. d), della legge 27 maggio 1959, n. 324, e dell'art. 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, in relazione agli art. 3, 36 e 38 della Costituzione. Nei giudizi di appello si e' costituito l'E.N.P.A.S. eccependo l'esclusione dell'indennita' in parola dal computo ai fini dell'indennita' di buonuscita e la manifesta infondatezza di illegittimita' costituzionale della questione, con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 220 del 25 febbraio 1988 e successive ordinanze dichiarative della manifesta infondatezza. 3. - Chiamate le cause alla pubblica udienza del 15 novembre 1991 e trattenute in decisione con ordinanza n. 39 del 25 gennaio 1992, riuniti i ricorsi, si riteneva non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, terzo comma, lettere b) e c), della piu' volte citata legge n. 324 del 1959 nel testo sostituito dall'art. 1, primo comma della legge 3 marzo 1960, n. 185, nonche' degli artt. 3, 37 e 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973 in relazione agli art. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione e, per l'effetto sospeso il giudizio, rimetteva gli atti alla Corte costituzionale. 4. - Sopravvenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 243 del 19 maggio 1993, con cui, fra l'altro, e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dei combinati disposti dell'art. 1, terzo comma, lett. b) e c) della legge 27 maggio 1959, n. 324, con gli artt. 3 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, nella parte in cui non prevedono, per i trattamenti di fine rapporto ivi considerati, meccanismi legislativi di computo dell'indennita' integrativa speciale secondo i principi ed i tempi indicati in motivazione, ed emanata, a seguito della sentenza anzidetta, la legge 29 gennaio 1994, n. 87, gli appellanti, con memoria notificata il 17 giugno 1994, depositata il successivo 9 luglio, hanno proposto motivi aggiunti sollevando nuova questione di illegittimita' costituzionale di specifici articoli della citata legge n. 87 del 1994, e cioe', dell'art. 1, lettera b), con riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Cost., dell'art. 3, primo e terzo comma, per violazione dell'art. 3 della Cost., dell'art. 4, primo comma, anche in relazione all'art. 2, quarto comma, ed all'art. 1, per violazione degli artt. 24, 103, 104 e 113 della Cost. I ricorrenti, i quali non ritengono satisfattiva delle loro pretese la legge sopravvenuta, di cui anzi non sarebbero destinatari per essere, la domanda avanzata, ben piu' ampia di quanto riconosciuto dalle disposizioni contenute nella legge n. 87 del 1994, avanzano innanzitutto il sospetto di illegittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge suddetta, in relazione agli artt. 102, 108 e 24 della Cost., ove sia da interpretare nel senso di non consentire ai ricorrenti di coltivare le loro pretese in giudizio, pure a fronte di una disciplina legislativa assolutamente non satisfattiva della domanda proposta in giudizio. In ogni caso, nel merito, le disposizioni della legge n. 87 del 1994 sarebbero sospettabili d illegittimita' costituzionale per i seguenti aspetti: 1) l'art. 1 nella parte in cui comporta, per i dipendenti statali, la mancata valutazione dell'intera indennita' integrativa speciale nella base di computo per l'indennita' di buonuscita, si porrebbe in contrasto sia con la sentenza n. 243/1993 della Corte costituzionale, sia, direttamente, con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dal momento che la disposizione, lungi dal realizzare l'obiettivo di complessiva omogeneizzazione delle prestazioni di fine rapporto, manterrebbe e riprodurrebbe sostanzialmente una situazione di sperequazione in danno dei lavoratori pubblici, considerato che il trattamento di fine rapporto dei lavoratori privati viene calcolato assumendo a base la retribuzione annua, la quale, a norma dell'art. 2120 del Codice civile, nel testo novellato dall'art. 1 della legge n. 29 maggio 1982, n. 297, comprende tutte somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale; 2) l'art. 3, comma 1, e' illegittimo per avere limitato l'applicabilita' della riliquidazione ai soli dipendenti collocati a riposo dopo il 30 novembre 1984 ed ai loro superstiti; la fissazione di tale data urterebbe contro il principio di ragionevolezza nella parte in cui fosse da intendere nel senso che il legislatore abbia voluto beneficiare i dipendenti cessati dal servizio nel decennio anteriore alla entrata in vigore della legge in esame, in quanto lascerebbe tagliati fuori una larga fascia di lavoratori, cessati dal servizio nel periodo compreso fra il 6 febbraio 1984 ed il 30 novembre 1994, con particolare danno fra l'altro per il personale scolastico cui la normativa vigente, impone comunque che la decorrenza della cessazione dal servizio coincida con l'inizio dell'anno scolastico; 3) lo stesso art. 3, comma 3, e l'art. 2, comma 4, sarebbero poi illegittimi per violazione degli artt. 24, 36, 38 e 113 della Costituzione, nella parte in cui dispongono lo scaglionamento delle riliquidazioni senza prevedere la corresponsione di rivalutazione ed interessi, escludendo dunque ogni ristoro per il ritardato pagamento. Pur consapevoli della estraneita' della questione al presente giudizio, i ricorrenti richiamano poi l'attenzione sull'ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale, che sarebbe rinvenibile nella disposizione che prevede lo scaglionamento della riliquidazione anche nei confronti di dipendenti da collocare a riposo successivamente alla entrata in vigore della legge, prevedendo la liquidazione immediata secondo le nuove misure soltanto in favore di coloro che saranno collocati a riposo a fare data dal 1 dicembre 1994, evidenziando l'irragionevolezza di tale sperequazione basata soltanto sul fattore temporale, la quale si rivelerebbe particolarmente vessatoria per il personale scolastico, costretto al rispetto del collocamento a riposo coincidente con l'inizio dell'anno scolastico. Concludono quindi gli interessati, in via principale, per l'accoglimento del ricorso indipendentemente dalla sopravvenuta legge n. 87 del 1994 ed in subordine, ritenuta la non manifesta infondatezza delle sollevate questioni di illegittimita' costituzionale, per la remissione delle stesse alla Corte costituzionale, con le conseguenze di legge, al fine ultimo dell'accoglimento dei ricorsi. Su istanza degli interessati e' stata fissata l'udienza pubblica del 18 novembre 1994 ed in quella sede le cause sono state trattenute in decisione. DIRITTO 1. - I giudizi gia' riuniti in occasione dell'ordinanza n. 39 del 1992 di rimessione alla Corte costituzionale, devono essere mantenuti tali, per la coincidenza delle controversie concernenti tutte la computabilita' dell'indennita' integrativa speciale nella base di calcolo dell'indennita' di buonuscita dovuta ai dipendenti statali cessati dal servizio, e delle questioni sollevate, anche per quanto concerne il sospetto di illegittimita' costituzionale, prospettato con i motivi aggiunti. Essi ritornano all'esame dopo l'entrata in vigore (in data 6 febbraio 1994) della legge 29 gennaio 1994, n. 87, recante "Norme relative al computo della indennita' integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti" (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5 febbraio 1994), la quale, "in attesa della omogeneizzazione dei trattamenti retributivi e pensionistici per i lavoratori dei vari comparti della pubblica amministrazione e per i lavoratori privati conseguente all'applicazione del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e ferma la disciplina del trattamento di fine servizio in essere per i dipendenti degli enti locali (art. 1), dispone che, a decorrere dal 1 dicembre 1994, l'indennita' integrativa speciale, di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, viene computata nella base di calcolo dell'indennita' di buonuscita e di analoghi trattamenti di fine servizio determinati in applicazione della norme gia' vigenti con riferimento allo stipendio ed gli altri elementi retributivi considerati utili" nella misura, per i dipendenti delle amministrazioni statali e nelle altre indicate alla lett. b) del citato art. 1, "di una quota pari al 60 per cento dell'indennita' integrativa speciale annua in godimento alla data della cessazione dal servizio con riferimento agli utili ai fini del calcolo dell'indennita' di buonuscita o analogo trattamento, per i dipendenti degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, e successive modificazioni, nella misura di una quota pari al 30 per cento dell'indennita' integrativa speciale annua in godimento alla data della cessazione del servizio con riferimento agli anni utili ai fini del calcolo dell'indennita' di anzianita'". La stessa legge dispone all'art. 4 che "i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge aventi ad oggetto la riliquidazione del trattamento di fine servizio comunque denominato con l'inclusione dell'indennita' integrativa speciale sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese fra le parti" e che "i provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato restano privi di effetto". Inoltre l'art. 3 della legge in esame precisa (al comma 1) che il trattamento fissato dalla legge viene "applicato .. ai dipendenti che siano cessati dal servizio dopo il 30 novembre 1984 ed ai loro superstiti" con esclusione conseguentemente di quanti siano venuti a cessare dal servizio anteriormente a tale data, salva la clausola contenuta nello stesso articolo secondo cui il trattamento in questione si applica anche a coloro "per i quali non siano ancora esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell'indennita' di buonuscita o analogo trattamento". Lo stesso art. 3, dopo avere posto, al successivo comma 2, l'obbligatorieta', ai fini dell'applicazione della legge ai dipendenti gia' cessati dal servizio, della presentazione di specifica domanda su apposito modello, nel termine perentorio del 30 settembre 1994, dispone, al comma 3 che "la prestazione deve essere corrisposta entro il 1995 per coloro che siano cessati dal servizio dal 1 dicembre 1984 al 31 dicembre 1986; entro il 1996 per coloro che siano cessati dal servizio nel triennio 1 gennaio 1987-31 dicembre 1989; entro il 1997 per coloro che siano cessati dal servizio nel triennio 1 gennaio 1990-31 dicembre 1992 ed entro il 1998 per coloro che siano cessati dal servizio nel periodo dal 1 gennaio 1993 al 30 novembre 1994". Contrariamente a quanto ritenuto in via principale dagli appellanti, la legge in esame trova applicazione alle controversie in esame. Giova ricordare, al riguardo che gia' la sezione, con precedenti ordinanze nn. 664 del 3 maggio 1994, 953 dell'8 giugno 1994 (ed altre in corso di pubblicazione) relative a differente categoria di dipendenti collocati a riposo (i dipendenti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, cessati dal servizio dopo o prima il 30 novembre 1984) ha rimesso alla Corte costituzionale questioni analoghe a quelle sollevate dagli attuali interessati con i ricordati motivi aggiunti. Coerentemente con l'orientamento gia' espresso con le citate ordinanze, e con riguardo specifico alle fattispecie portate all'esame del giudice di appello con i ricorsi riuniti in questa sede relativi motivi aggiunti deve ritenersi che tutte le citate disposizioni assumono evidenza nel presente giudizio e pongono dubbi di loro incostituzionalita', secondo quanto dedotto in via subordinata, con i motivi aggiunti, dagli stessi appellanti e le considerazioni ulteriori gia' svolte nelle precedenti citate ordinanze di rimessione ed adattabili ai casi in esame. 2.1. - L'art. 4 della legge considerata determina la dichiarazione di estinzione d'ufficio del giudizio, con compensazione fra le parti delle spese relative. In tale suo disposto esso sembra porsi in contrasto con gli artt. 3, 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 103 e 113 della Costituzione e la questione relativa non appare manifestamente infondata. 2.2. - La legge in esame, nel prescrivere che il trattamento con essa previsto si applica anche ai dipendenti cessati dal servizio dopo il 30 novembre 1984 ed ai loro supersiti nonche' a quelli per i quali non siano ancora giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell'indennita' di buonuscita o analogo trattamento (art. 3, comma 1), dispone poi che l'applicazione del trattamento ai dipendenti gia' cessati dal servizio avviene a domanda, che deve essere presentata all'ente erogatore su apposito modello nel termine perentorio del 30 settembre 1994 (art. 3, comma 2). In tale contesto normativo la disposizione contenuta nell'art. 4 successivo incide direttamente sul diritto di difesa quale garantito dall'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione. Se e' vero infatti che i precetti quivi sanciti non vietano che il legislatore ordinario possa variamente disciplinare il diritto di difesa, quale espressione della tutela giurisdizionale, in funzione di superiori interessi di giustizia, eventualmente condizionandone l'esercizio all'esperimento di una procedura amministrativa, cio' non toglie tuttavia che sussistono limiti ad una siffatta discrezionalita', fra cui il principale e' rappresentato dalla condizione che l'esercizio del diritto di difesa sia garantito in modo effettivo ed adeguato alle circostanze. In relazione a tale principio, piu' volte affermato dalla Corte costituzionale, il limite anzidetto risulta ampiamente superato allorche', come nella specie, il legislatore intervenga successivamente all'esercizio dell'azione con disposizioni preclusive intese a vanificare la tutela giurisdizionale, specie se questa sia stata gia' sperimentata, essendosi resa necessaria - come e' reso evidente dalla intervenuta pronuncia di incostituzionalita' - a seguito di puntuali inadempienze legislative a fronte di posizioni soggettive, che la Corte costituzionale ha poi ritenuto direttamente garantite dalla Costituzione. E' appena il caso infatti di ricordare che la disciplina legislativa sopravvenuta, che consente ora, sia pure entro certi limiti, il computo dell'indennita' integrativa speciale nel trattamento di fine rapporto, fra l'altro dei dipendenti dello Stato, e' solo in parte frutto della scelta discrezionale del legislatore ordinario, dal momento che consegue alla pronuncia di illegittimita' costituzionale delle norme previgenti e nasce dalla esigenza, sottolineata dalla stessa Corte, di provvedere con adeguata tempestivita' a "reintegrare l'ordine costituzionale violato". E' dunque chiaro che, quanto meno sul piano della sussistenza del diritto, non puo' riconoscersi alla legge in esame alcun carattere innovativo e che, con riguardo alla posizione sostanziale dedotta nei giudizi, soltanto la determinazione della misura, dei modi e dei tempi di computo dell'indennita' di anzianita' trova risposta nella nuova legge, essendo nella previgente legislazione statale, siccome emendata dalla pronuncia costituzionale, il riconoscimento della titolarita' del diritto ad un adeguato computo dell'indennita' medesima. Sul piano della razionalita', non si sottrae al sospetto di violazione dall'art. 3 della Costituzione la disposizione normativa, che imponendo la dichiarazione di estinzione, si risolve appunto nella vanificazione di quegli stessi giudizi, che hanno reso possibile la proposizione incidentale della questione di illegittimita' costituzionale e che dunque seppure ancora non definitivamente decisi dal giudice naturale con sentenza passata in cosa giudicata, pur tuttavia hanno consentito di incidere sull'ordinamento generale attraverso la pronuncia suddetta. Ne' puo' essere sottratto al sospetto di incostituzionalita' la stessa norma sotto il profilo della compromissione del diritto di difesa derivante dalla estinzione dei giudizi pendenti, in relazione ai tempi lunghi previsti per la realizzazione della pretesa e, in definitiva, per il riconoscimento del diritto, dal momento che tale estinzione potrebbe consentire alla amministrazione di rimettere in discussione, caso per caso, l'esistenza stessa del diritto, anche in relazione a quelle ipotesi che per tale aspetto potrebbero gia' pervenire a pronta soluzione. 2.3. - L'illegittimita' della norma e' ancor piu' aggravata dalla previsione di una domanda da proporsi entro un determinato termine di decadenza da parte di quei soggetti che avevano gia' proposto la loro pretesa in sede giurisdizionale, si da attrarre nello stesso profilo di illegittimita' costituzionale anche la disposizione contenuta nell'art. 3, comma 2, della stessa legge, nella parte in cui non esonera dalla proposizione della domanda in sede amministrativa tali soggetti, abbiano o meno essi gia' ottenuto una sentenza favorevole. 2.4. - La violazione delle garanzie costituzionali poste dagli artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, della Costituzione, investe l'art. 4 della legge n. 87 del 1994, non solo per la parte in cui dispone l'estinzione dei giudizi pendenti e priva di effetto i provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato, ma anche la' dove dispone la compensazione delle spese del giudizio, sottraendo al giudice naturale della pretesa sostanziale dedotta in giudizio tale parte accessoria della controversia, che per principio costituzionale non puo' esserne distolta. 2.5. - ll sospetto di illegittimita' dell'art. 4 della legge n. 87 del 1994 si estende poi alla violazione dell'art. 113 della Costituzione, in un ambito che vede come giudice naturale delle relative controversie il giudice amministrativo. 2.6. - Vi e' da rilevare altresi' che la lesione delle posizioni soggettive costituzionalmente garantite si accompagna nella specie all'illegittima interferenza dell'esercizio del potere legislativo nella sfera di attribuzioni del potere giurisdizionale, per quanto spettante al giudice amministrativo a norma dell'art. 103 della Costituzione, ampliando il sospetto di illegittimita' costituzionale della norma anche per tale profilo. 2.7. - Non puo' trascurarsi del resto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 123 del 10 aprile 1987, ha gia' dichiarato incostituzionale una norma di identico contenuto della legge n. 425 del 1984. 3. - L'incostituzionalita' dell'art. 4, se dichiarata dalla Corte costituzionale, pone in evidenza, poi, il sospetto di incostituzionalita' dell'art. 3, comma 1, nella parte in cui limita l'applicabilita' delle disposizioni favorevoli al computo dell'indennita' integrativa speciali ai soli dipendenti cessati dal servizio dopo il 30 novembre 1984, e non la estende invece a tutti quanti siano cessati dal servizio anteriormente a tale data, non sussistendo elementi per ritenere giustificabile, sul piano della razionalita', il differente trattamento fatto agli interessati, in relazione al principio di eguaglianza posto dall'art. 3 della Costituzione. Come correttamente posto in evidenza dagli interessati, la norma fra l'altro pone, nell'ambito dei dipendenti dello Stato i quali siano cessati dal servizio nell'anno 1984 una particolare discriminazione in danno dei dipendenti scolastici, nessuno dei quali potrebbe essere ricompreso fra i destinatari della disposizione, per cio' che riguarda il suo limite iniziale in considerazione del vincolo posto agli stessi dalla disciplina di settore circa la decorrenza del collocamento a riposo dall'inizio dell'anno scolastico. 4. - Analogamente l'incostituzionalita' dell'art. 4, se dichiarata dalla Corte costituzionale, pone in evidenza, poi, il sospetto di incostituzionalita' dell'art. 1, comma 1, lett. b), della stessa legge nella parte in cui stabilisce che per i dipendenti ivi contemplati il computo dell'indennita' integrativa speciale deve essere fatto nella misura di una quota pari al 60 per cento dell'indennita' integrativa speciale annua in godimento alla data della cessazione dal servizio (con riferimento agli anni utili ai fini del calcolo dell'indennita' di buonuscita o analogo trattamento). Pur tenendo presente l'indicazione della Corte costituzionale, la quale non ha escluso la possibilita' che la complessiva omogeneizzazione delle prestazioni di fine rapporto possa essere realizzata secondo moduli improntati al principio di gradualita', appare irrazionale il criterio che ha indotto il legislatore a contenere nella misura del 60 per cento anzidetto la quota di computabilita' della indennita' integrativa speciale nella base di calcolo dell'indennita' di anzianita' spettante ai dipendenti statali, in rapporto al trattamento riservato ai dipendenti del settore privato, ma anche in rapporto alla misura di ogni altro elemento retributivo computabile nella base di calcolo della indennita' di buonuscita, in relazione all'art. 3 del t.u. n. 1032 del 1973, a norma del quale la base contributiva per la determinazione dell'indennita' di buonuscita e' costituita dall'80% dello stipendio integralmente percepito al momento della cessazione dal servizio. Il sospetto di incostituzionalita' appare ancor piu' evidente ove si consideri che la stessa Corte costituzionale, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale, fra l'altro degli artt. 3 e 38 del t.u. n. 1032 del 1973, ha tenuto conto delle difficolta' conseguenti alla predisposizione di meccanismi di omogeneizzazione, ma non ha ritenuto affatto giustificato, sul piano dei precetti costituzionali, la predisposizione di un sistema sostanzialmente rivolto a mantenere, sia pure in modo temperato, le riscontrate differenze con il settore privato del lavoro subordinato, senza che esse trovino giustificazione nella specialita' delle situazioni. La discrezionalita' del legislatore ordinario nella determinazione della base di calcolo ai fini del trattamento di fine rapporto non si puo' ritenere estesa alla previsione di ingiustificate commisurazioni sperequative e inidonee a soddisfare l'esigenza di adeguatezza e proporzionalita', cui la riforma avrebbe dovuto ispirarsi secondo le indicazioni contenute nella sentenza n. 243 del 1993 della Corte costituzionale, con la conseguenza che l'art. 1, comma 1, lett. b), della legge n. 87 del 1994 appare in violazione dei principi posti dagli artt. 3 e 36 della Costituzione. 5. - La pretesa dedotta nel presente giudizio e' stata posta anche con riguardo alla rivalutazione monetaria delle somme riconosciute dovute in integrazione della indennita' di buonuscita ed agli interessi su di essi. Tale parte della pretesa diviene preclusa dal comma 4 dell'art. 1 della legge fin qui esaminata, in quanto dispone che le somme dovute in conseguenza del computo nella indennita' di fine servizio dell'indennita' integrativa speciale "non danno luogo a corresponsione di interessi ne' a rivalutazione monetaria". Sembra evidente la violazione, per effetto di una norma siffatta, sia dell'art. 3 che dell'art. 36 della Costituzione, in quanto essa espone: da un lato i crediti considerati, per le conseguenze dell'inadempimento ai debiti correlativi, ad un trattamento risarcitorio deteriore rispetto a quello previsto per ogni altro credito di qualsiasi genere ed anche da lavoro dipendente, senza che sussistano peculiarita' differenzianti; dall'altro lato, tale specifico credito, nel suo carattere di retribuzione differita ormai legislativamente stabilita, alla sminuizione conseguente al decorso del tempo, che ne svilisca la proporzionalita' alla qualita' e quantita' del lavoro prestato e la sufficienza alla esistenza libera e dignitosa del lavoratore. Ne risulta la non manifesta infondatezza anche di tale questione, anche in relazione alla previsione dell'art. 3, comma 3, della stessa legge, cosi' come precisato dagli appellanti. 6. - Tutte le questioni di illegittimita' costituzionale cosi' delineate riguardo alla legge n. 87 del 1994 sono rilevanti a fini della definizione dei giudizi riuniti. Quella concernente l'art. 4, perche' dalla sua risoluzione in un senso e nell'altro dipende se i giudizi stessi possano pervenire a conclusioni di merito od essere dichiarati estinti. Tutte le altre, perche', nel caso di incostituzionalita' dichiarata dell'art. 4, sulla risoluzione delle stesse dovra' conformarsi in un senso o nell' altro il giudizio nel merito delle pretese dedotte.